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Writer's pictureArianna Galli

Ritorno all'io

articolo di Arianna Galli per la rivista culturale cartacea Studi Cattolici, numero 736 del Giugno 2022


«Io sono nessuno» ULISSE.

Con questa citazione tratta dall’Odissea, l’universale poema di Omero che sta alla base dell’Occidente, Mary Barbara Tolusso – giornalista, autrice di due romanzi e poetessa vincitrice del prestigioso Premio Pasolini nel 2004 – inizia la sua nuova raccolta edita per Lo Specchio Mondadori, raccolta che riunisce i suoi componimenti pubblicati negli ultimi 20 anni tra editi e inediti: Apolide.


Essere apolide significa essere invisibile, vuoto, senza un’appartenenza: il termine deriva dal greco a-polis , ovvero «senza città», e indica un uomo o una donna che non possiede la cittadinanza di nessuno stato. Nella raccolta, la Tolusso rivisita l’interpretazione della parola apolide, donandogli un significato che si contrappone a quello di cosmopolita, ovvero «cittadino del mondo»: nella società contemporanea in cui è forte il senso di globalizzazione e di un’assenza di limiti e di confini, allo stesso tempo secondo l’autrice sembra dominare una netta divisione tra fisico e metafisico, tra anima e corpo, e tutti siamo senza più una patria, perché sradicati, perché privi di radici, di un’appartenenza a una storia, a una narrazione.


Per Mary Tolusso l’unica cosa che resta è l’autocoscienza di esserci.

È così che la raccolta, fortemente organica e nel contempo ricca di labirinti, si pone come una sorta di viaggio per mare tra i piccoli dettagli concreti della quotidianità, dalle mutandine di chiffon perse per i cassetti della casa alle sigarette rubate e agli scontrini accumulati in un cassetto, scavalcando i muri, entrando nelle case degli altri, come illustra bene la copertina costituita da uno sfondo blu costellato da puntini bianchi, come ad evocare un arcipelago di isole in mezzo alla vastità del mare.


Perché come Ulisse, la Tolusso e l’umanità intera è nessuno che deve mettersi in cammino per ritrovare la propria identità.


L’autrice lo fa immergendosi nella concretezza, nell’umano nella sua carnalità: attraverso un sapiente uso di immagini nel passare dalla realtà al sogno e al rovesciamento di prospettiva con una prevalenza dei campi semantici della casa e del corpo, la sua scrittura sensuale ricopre i versi con la pelle, ne fa un corpo di donna sinuoso, ma di cui allo stesso tempo al tatto se ne possono sentono le ossa.


Ho incorniciato il tuo corpo. Il tuo corpo/ in cornice con la tua faccia austera. / […] Non ha un sentire obliquo/ il corpo, ma tessuti, muscoli, ossa, la consistenza/ elementare della fine dove non potrai riscattarti dal sonno./ È la parola che manca. Non cercarmi.

Eppure, il tentativo dell’autrice di un ritorno al passato è vano: sembra che cammini per stanze di ricordi, di immagini ormai lontane contemplandole in completo silenzio, un silenzio che sa di morte, osservando gente che nel presente muore ogni giorno in un’esistenza monotona senza mai aver vissuto nulla e respira nell’aria il niente, la mancanza di senso, di una verità.


Come Penelope, la Tolusso tesse e scuce la sua tela in attesa di sé stessa, della sua identità, che però è destinata a non ritornare mai, a rimanere racchiusa nel suo segreto, venendo rivelata sono nella letteratura, nella sua poesia in cui disegna come un’artista la sua vita, il suo passato e il suo corpo mostrandoli nella la loro nudità.


il numero cartaceo in cui è contenuto l'articolo è acquistabile al seguente link:






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