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"Non c'erano fiori": il primo libro di Arianna Galli

"Non c'erano fiori" è la prima raccolta poetica di Arianna Galli, pubblicata da "Giuliano Ladolfi Editore", con prefazione della Professoressa di lettere e lettere classiche Silvia Perucca.

Qui a seguito potete leggere la trama del libro e un estratto dalla meravigliosa prefazione.


La raccolta, ispirata alle teorie di Freud, al mito di Amore e Psiche e al celebre romanzo di Tobino «Le libere donne di Magliano», indaga il percorso psicologico di Irene che nella sua pazzia nata dal dolore comprende pian piano la sua identità, il rapporto con sé stessa, con l’amore e con la città in cui abita, Milano, che appare a squarci e deformata, frantumata come la sua stessa anima.
Perché prima non c’erano fiori, ma è ciò che ha lasciato nel suo cuore la persona amata, il fiore che porterà per sempre con sé nella vita nel suo cammino verso il futuro.

È l’autrice stessa ad offrirci, attraverso la sinossi sopra riportata, una chiave di lettura delle sue poesie, prendendo per mano il lettore e fornendogli le coordinate essenziali per immergersi a pieno in un’opera originale, in cui si mescolano reminiscenze classiche e spunti moderni, filtrati e resi contemporanei dalla sua precoce e spiccata sensibilità.

Nella raccolta, caratterrizzata da un forte impianto narrativo, ogni componimento coglie e illumina una tappa del cammino interiore dell’io lirico, una giovane donna che scopre sé stessa attraverso il dolore di un amore interrotto, troppo breve e intenso.


È sua la voce che nel prologo annuncia l’incontro inatteso e fugace con un “angelo” destinato a cambiare per sempre la sua vita; si firma con il nome di Irene, scelta non casuale, che nella sua etimologia racchiude il significato di “pace”: un contrasto apparentemente netto rispetto al tormento che ferisce l’animo della protagonista, in realtà un nome che porta inciso dentro di sé il destino della donna, come lascia intendere il “finale aperto” cui allude, nel commiato, l’immagine potente ed evocativa di una rosa rossa.


Il racconto di passione, dolore e consapevolezza di Irene si sviluppa attraverso quattro sezioni (“Lanterna”, “Baci irrequieti”, “Volo, “Sfere”); l’autrice, raccogliendo la tradizione che dallo Stilnovo arriva fino a Montale e rovesciandola di segno, affida la salvezza della sua protagonista all’amore di un uomo, che incarna un essere superiore e quasi divino e presenta tutte le caratteristiche di norma attribuite alla figura femminile. È il suo sguardo che le consente di intravedere per la prima volta il senso della vita, aprendo uno squarcio sulla realtà che sta oltre la normale percezione dei sensi (“il varco tra questo e il vero mondo”); si tratta però solo di un inizio, una frattura dolorosa che impone alla donna di immergersi in sé stessa, di attraversare la sua follia e toccare il fondo della sofferenza, perché è solo dentro di sé che può trovare la forza di rinascere.


È un percorso psicologico duro e doloroso, e anche se apparentemente l’uomo – angelo non salva ma ferisce (“Ho perso l’anima in una notte d’inverno”), dà alla donna l’illusione di poter raggiungere l’infinito che si cela oltre una siepe di leopardiana memoria (“Il mondo è la siepe e dietro c'è l'infinito / Io lo plasmerò con le dita”) ma poi vola via, lascia “per terra, pezzi di vetro” e ritorna solo sotto forma di visioni evanescenti ed inafferrabili, a tratti ossessive, tuttavia è proprio da questo dolore che Irene può partire per poter ricucire i pezzi della sua anima e raggiungere quella pace e quell’equilibrio così desiderati e sempre inseguiti. Attraversare il dolore, elaborare il lutto di un addio sono passaggi necessari per poter andare avanti, perché solo così potranno nascere fiori anche dove prima non c’erano; una consapevolezza certo non facile da raggiungere, ma che l’ultimo verso della raccolta coglie ed esprime a pieno (“L’abbandono è il primo passo verso il futuro”).

[...]

Sullo sfondo di una Milano che appare a sua volta “frantumata come la sua stessa anima”, ci addentriamo insieme ad Irene in un’atmosfera onirica, sempre in bilico tra “materia e sogno”, in cui l’indagine e la ricerca della realtà non vengono mai meno e vanno via via delineandosi più chiaramente con il procedere della raccolta.


Grazie ad un uso evocativo della parola, che ricorda a tratti la lezione di Mario Luzi, l’autrice in questa raccolta prova ad esplorare ciò che sta oltre la superficie del mondo, e ci ricorda che, per cogliere la verità, non ci si deve fermare al solo dato oggettivo e superficiale, ma bisogna avere la forza di scavare oltre, senza aver paura di fare i conti con tutto ciò che spesso tendiamo a rimuovere o ignorare, anche se è dolore, anche se è pazzia.


Silvia Perucca


Il libro è acquistabile presso i seguenti link:





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