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L'Odissea-tv: capolavoro a metà dello sceneggiato televisivo

articolo di Arianna Galli per la rivista culturale online Superuovo per il 19 Aprile 2021


“Femio, il cantore della reggia di Itaca, è l’equivalente dell’Odissea in Tv. Egli raccontava le storie degli eroi agli occupanti di Itaca, ai pretendenti al trono di Ulisse: essi mangiavano, rumoreggiavano mentre il povero Femio lavorava. Proprio come un televisore acceso in una famiglia numerosa. E a Femio mancava solo una storia: l’Odissea che noi guardiamo in Tv guardando Femio.”


Così il critico e giornalista Walter Veltroni ci presenta nel suo saggio critico I programmi che hanno cambiato l’Italia una delle opere televisive che ha rivoluzionato il volto della televisione italiana.


Il kolossal Odissea, diretto da Franco Rossi, trasmesso sulla RAI in 8 puntate nel 1968, si inserisce nel contesto degli sceneggiati televisivi, ovvero rappresentazioni televisive, generalmente a puntate, di un soggetto narrativo, denominati in particolare “teleromanzi” se tratti da opere letterarie. La nascita di questo genere coincide con la nascita della RAI stessa, con la messa in onda nel 1954 de Il dottor Antonio tratto dal noto romanzo di Ruffini. Ma, mentre i primi sceneggiati della RAI sono fortemente caratterizzati da una modalità produttiva fondamentalmente teatrale con l’Odissea di Franco Rossi si ha il grande salto nel cinema.


La tipologia produttiva adottata è infatti quella dell’opera interamente filmata, e così anche un “protocollo” produttivo totalmente nuovo: un budget altissimo per l’epoca, la formula di coproduzione internazionale, un cast d’eccezione, l’introduzione del colore e le numerosissime riprese di esterni per creare i 70000 metri di pellicola che costituiscono questo lavoro straordinario.

Dopo mesi dedicati alla stesura del copione, interviene la macchina da presa: dagli interni negli studi De Laurentis presso Via Pontina a Roma agli esterni nel labirinto di isole di fronte a Zara, in Dalmazia, caratterizzato da un paesaggio mozzafiato di crepacci di roccia bianca e rosata e picchi su serpeggianti bracci di mare. L’unione di questi diversi fattori porta alla realizzazione di un prodotto televisivo di inedita spettacolarità che riscuote un grandissimo successo, registrando una media di 16,6 milioni di telespettatori a puntata, con un indice di gradimento pari all’83%.


Ma nonostante l’alto successo di pubblico, l’Odissea di Franco Rossi viene considerata dalla maggior parte della critica un lavoro dalla narrazione fredda e lenta, maestosa ma algida come una statua di marmo bianco imprigionata in un museo abbandonato.


Sicuramente, questo è dovuto al contesto storico-culturale in cui si colloca l’opera, quello di quella che Eco chiama “paleotelevisione”, ovvero la televisione italiana dal 1954 fino alle metà degli anni 70, caratterizzata da uno scopo principalmente pedagogico ed educativo, in cui si ha un impari rapporto comunicativo tra la classe d’élite di intellettuali e le masse che si vogliono educare.

Rossi dunque decise di non scegliere una rilettura moderna del personaggio di Ulisse, riportandolo a tematiche contemporanee come il conflitto tra individuo e Stato, tra umano e destino, ma di puntare ad un’opera popolare, semplice, che tutta la popolazione italiana dell’epoca avrebbe potuto comprendere.

È la scolastica traduzione di Rosa Calzecchi Onesti ad essere usata come base per la riduzione degli sceneggiatori, oltre ad alcuni versi dell’Odissea tradotti da Ungaretti, e recitati dall’anziano poeta stesso ad introduzione di ogni puntata.


Ma in quella che il critico Giovanni Perego ha definito come “rissa con Omero” si perde la magia del racconto omerico, ma soprattutto si perde il senso profondo dell’opera.


“Quante Odissee contiene l’Odissea?” si chiede Italo Calvino in Perché leggere i classici?. I rimandi alle Odissee sono infiniti, è come se, come ha anche intuito Joyce nel suo Ulisse, ogni personaggio principale compiesse un viaggio per mare all’interno di se stesso alla ricerca di un ritorno, di un’identità ormai perduta tra i flutti e le onde della vita per una nuova alba che porti con sé i colori del passato tramonto.


Come afferma Bettetini nella sua teoria della semiotica pragmatica, nell’adattamento da letteratura ad audio-visivo è necessario tradurre non solo le componenti narrative, ma soprattutto quelle pragmatiche ed enunciative, il messaggio di fondo, il senso che l’autore voleva comunicare. Ed è questo che manca all’Odissea di Franco Rossi.


Programma chiave nello scenario degli sceneggiati televisivi per quanto riguarda la sfera tecnica-produttiva, fallisce nel tradurre la voce di Omero che rimane solo nei versi cantati dalla voce emozionata, spesso incomprensibile, ma musicale di Ungaretti, perdendosi poi nelle scene, maestose, ma di un mondo troppo lontano da chi lo vuole ancora contemplare.





l'articolo è visibile nella pagina ufficiale del Superuovo al seguente link:




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